Ogni volta che entro in quel negozio la sua voce squillante mi accoglie con un fastidiosissimo “buon giorno signora, da quanto tempo che non ci vediamo!?”,che in realtà significa “perché non vieni più tutti i giorni a fare la spesa qui?”. Ma saranno affari miei dove vado a fare la spesa oppure no? Ogni volta che sono costretta ad andare lì non fa in tempo la porta ad aprirsi che il suo ghigno mi è già arrivato al collo.
È un negozietto così piccolo che sembra il salotto di casa mia, eppure accampa pretese da “alimentari”. Lungi da me il voler tarpare una così alta ambizione. Mi piace girare, cambiare le mie abitudini prima che si cristallizzino, in più sono totalmente pigra, piuttosto mi accontento di prendere qualcosa di più scadente ma la strada non l’attraverso per andare in quel negozietto. Per precisare, il negozietto di cui parlo è esattamente, precisamente dall’altro lato della strada, proprio di fronte al mio portone. Ma attraversare significherebbe tener conto di un sacco di fattori: le macchine che vengono da sinistra e le macchine che vengono da destra; scendere e salire il marciapiede; fare lo slalom fra le macchine parcheggiate e evitare quelle che tentano di investirmi. A me sembra veramente troppo adare fino dall’altra parte della strada.
La mia buona volontà si esaurisce già con il dover uscire di casa; prendere l’ascensore (situato esattamente a sinistra della mia porta d’ingresso); pigiare il pulsante T; aspettare di arrivare giù; subire il sobbalzo finale; uscire dall’ascensore; trascinare la mia strepitosa vitalità fino al portone; uscire; lasciare il portone accostato per risparmiarmi la fatica di doverlo riaprire al ritorno; scendere lo scalino; camminare… Come si può pretendere che io affronti anche tutta la faccenda dell’attraversare e poi con quale incentivo? Con il “buon giorno signora, da quanto tempo che non ci vediamo!?”? No, proprio no, preferisco prendere la macchina e andare dall’altra parte della città, in posto di andare in quel negozietto… Sono scoraggiata in partenza. Rimango da questo lato della strada, mi guardo un po’ intorno sperando di dover salutare il minor numero possibile di persone. In ogni caso prendo fiato e comincio passando davanti al bar: “buon giorno”; davanti all’edicola: “buon giorno”. Allungo il passo davanti a negozi poco simpatici (animali esposti in vetrina come mercanzia) e arrivo finalmente a un piccolo fruttivendolo che ha quel “po’ di tutto” che mi evita di andare in giro a far la spesa. Prendo il minimo indispensabile e affronto i cinquanta metri di ritorno (o forse meno, io ne calcolo sempre in più perché non si sa mai, potrei rimanere a corto di energie…).
Il ritorno è una tragedia, i negozianti mi hanno vista passare e i “buon giorno” che mi sono risparmiata all’andata li devo prendere al ritorno. Arrivo così al portone (chiuso… Maledetti!!!). Estraggo il mazzo di chiavi, se sono fortunata al quarto, quinto tentativo dovrei trovare quella giusta. Apro. Arranco verso l’ascensore, pregando che non ci siano vicini con i quali sarei costretta a scambiare i soliti convenevoli. Mi aggrappo al pulsante e lo premo freneticamente. Cinque… quattro… tre… è una tortura aspettare che arrivi… due… uno… sono ormai allo stremo delle forze… terra! Eccolo! Apriti! Apriti prima che arrivi qualcuno, apriti! Finalmente si apre e mi traina fino al quinto piano. Un sobbalzo che mi distende la colonna vertebrale e sono davanti al mio appartamento. Chiave nella toppa, giro, giro, giro. Si apre! Sono salva, pochi passi e attracco al divano. Completo il mio approdo togliendomi le scarpe e stravaccandomi. Adesso che sapete quanta fatica mi costerebbe attraversare la strada lo dite voi a “buon giorno signora, da quanto tempo che non ci vediamo!?”.